UNDERGROUND
Una delle prime incursioni pubbliche delle organizzazioni neofasciste a cui ho assistito nei primissimi anni 70 nella mia città è stato un corteo del Fuan aperto da uno striscione che ancora ricordo, recitava: Europa Nazione Rivoluzione.
Ora se dovessi declinare una risposta immediata e difensiva alla decisione di Trump di mettere i dazi ad alcune importazioni dovrei immaginare una politica economica europea talmente coesa e sovranista da inverare quello slogan 50 anni dopo e rispondere colpo su colpo a quell’attacco neo-nazionalista.
E allora la globalizzazione liberista delle merci e dei capitali?
Probabilmente ci troviamo di fronte all’ennesima trasformazione del capitale che rilevando alcuni limiti di profitto in qualche plaga dei suoi insediamenti inasprisce la sua guerra interna.
Sul piano teorico potremmo definirla come la globalizzazione sovranista contro la globalizzazione liberista. Con gli strumenti analitici mutuati dalle sinistre europee del secondo novecento, in questa fase del rinculo democratico e dell’annichilimento organizzativo, altra risposta immediata non viene che la difesa dentro illusori fortilizi determinati da confini sempre più angusti.
Continentali ( il livello minimo di resistenza in uno scontro economico planetario).
Nazionali ( il livello antropologicamente più sperimentato di relazioni economico-sociali).
Oppure ci si potrebbe difendere in territori ad eguale sviluppo economico ( Lombardia con un corridoio verso la Renania- Westfalia) , sarebbe la guerra parcellizzata dei ricchi contro i poveri su scala condominiale.
Dentro questo immaginifico Risiko possiamo osservare nitidamente la prosecuzione con altri mezzi della lotta di classe rovesciata parafrasando utilitaristicamente von Clausewitz.
I compiti dovrebbero essere quindi non rimanere abbagliati dai fari che ci hanno puntato addosso, non assuefarci al buio di residuali interstizi nazionali e sociali nei quali ci hanno costretti.
Non vogliamo e non costruiamo un’ Europa Nazione fortezza a difesa delle disuguaglianze e dei diritti negati ad altri fuori e dentro di essa, non la pensiamo come strumento unificato ed armato dentro lo scontro intercapitalistico in atto.
Come dal noto canto anarchico “…nostra patria è il mondo intero…” , o, “… da quassù non si vede alcun confine…” (prima dichiarazione dallo spazio di Yuri Gagarin), la sinistra immagina un’Europa coesa nel praticare ampliare ed esportare le sue ricchezze: compromesso sociale post-bellico e disarmo graduale per un nuovo ordine pacifico globale. Ripensare la sinistra ripartendo da qui costringe a un ripensamento del ruolo e del potere dello stato nazione, del ruolo e delle funzioni delle istituzioni europee e ad una politica estera continentale che misura le relazioni internazionali con il metro dello sviluppo della socialità umana. Basare ogni singola azione in questa logica non relegandola a semplice testimonianza consolatoria o mutualismo solo sostitutivo di compiti propri delle istituzioni sarà la fatica di Sisifo a cui la sconfitta storica costringe la sinistra comunque necessaria.
Sergio Zampini 1-5-2018