Crisi globale (alcuni dati)
La pandemia da Covid-19 brucerà nel 2020 il 3% del Pil globale. La prima crisi globale si abbatte in modo indiscriminato su paesi ricchi e poveri. Queste drammatiche previsioni per l’anno in corso sono del Fondo Monetario Internazionale (Fmi). L’intreccio tra crisi sanitaria ed economica rende difficoltosa una rapida ripresa: la domanda è crollata, ci sono grandi ‘buchi’ nelle catene di approvvigionamento globale e la crisi finanziaria coinvolge mercati e materie prime. Nella prefazione al rapporto del FMI, la capoeconomista Gopinath ribadisce che la recessione generata dalla pandemia “non ha precedenti”. Ad oggi lo schema della crisi recita: contrazione del PIL mondiale 3% circa 9000 miliardi di dollari bruciati in un anno, – 6% del Pil per i Paesi ad economia avanzata, -1% per i Paesi emergenti. L’Eurozona perderà il 7,5%, l’Italia presenterà il risultato peggiore della media Ue (se si esclude la Grecia che precipita del 10%): -9,1%. Ma pagheranno pegno anche la Germania, che perderà il 7%, la Francia il 7,2%, la Spagna 8%, gli Usa il 5,9% del Pil. Oltre i confini europei, sono solo tre i paesi per i quali l’Fmi prevede uno shock peggiore dell’Italia: il Libano (-12%), il Venezuela (-15%), e Macao (-29,6%) Cina e India freneranno la loro crescita. La direttrice del FMI Kristalina Georgieva presentando il rapporto ha ammesso: “ Solo tre mesi fa, ci aspettavamo una crescita del reddito pro capite positiva in oltre 160 dei nostri paesi membri nel 2020. Oggi quel numero è stato ribaltato: ora prevediamo che quest’anno 170 paesi proveranno una crescita negativa.” Angel Gurria, segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (Oecd): “Sarò chiaro: le economie avanzate soffriranno. Se faranno tutto bene, la sofferenza durerà anni. In caso contrario, non si riprenderanno affatto”. E poi: “Non sono d’accordo con l’idea di una ripresa a ‘V’. Sarà più, nel migliore dei casi, come una ‘U’ con una lunga trincea nella parte inferiore prima che si arrivi al periodo di recupero. Dipende da noi, oggi, prendere le decisioni giuste per evitare che diventi una L”.Questo quadro interpretato in chiave più o meno pessimista ha un comune denominatore, la crisi sarà grave e lunga, nessuno ne rimarrà indenne e gli scenari che ne deriveranno sono ad oggi inimmaginabili. Questo il quadro nel quale agiranno e si scontreranno potenze economiche, assetti geopolitici, composizioni e scomposizioni sociali. Diventa drammaticamente necessario pensare ed organizzarsi per determinare assetti che possano tutelare chi vive del proprio lavoro, chi il lavoro lo perderà, chi si dedicherà ai lavori di cura non riconosciuti e tutelati; le funzioni di produzione e riproduzione mai come ora dobbiamo legarle al mantenimento delle risorse della Terra.
Stato nazione ed organizzazioni economiche globali
La globalizzazione ha trasformato la realtà ed è la nuova categoria del «postmoderno», ma la sua applicazione è messa in discussione dall’epidemia Covid. Le filiere lunghe, gli approvvigionamenti just-in-time sono la fragilità conclamata del sistema nell’emergenza: un colosso dai piedi d’argilla. Il dibattito sulla globalizzazione necessita una riflessione non solo sull’organizzazione delle filiere produttive dei trasporti e degli approvvigionamenti ma anche sulle organizzazioni che ne hanno orientato lo sviluppo, sulla funzione della organizzazione sociale e dello Stato. Il dibattito sul ruolo e la funzione dello Stato ha in Baumann e Beck due riferimenti teorici a volte contrapposti. Baumann sostiene l’inevitabile completa estinzione dello Stato a causa della globalizzazione e delle forze transnazionali. Beck invece fonda la sua analisi sul modo in cui sta mutando lo Stato: dal modello nazionale a quello transnazionale. Altre tesi sostengono che la globalizzazione erode l’organizzazione territoriale nazionale dando vita a scale sovranazionali (UE), e infra-nazionali: un potere territoriale entro lo Stato che ne mette in pericolo l’unità. Ciò mette in evidenza come lo Stato si trovi schiacciato sia dall’alto che dal basso, forze transnazionali e nuove territorialità gli sottraggono l’oggetto sul quale esercita il potere. Inoltre anche il concetto di sovranità viene meno, ceduta ad organi sovranazionali o micro-nazionali (alcune tendenze autonomistiche). Ne è un esempio l’Unione Europea; si è creata una moneta unica, una politica estera comune seppur fragile, e la creazione di una cittadinanza europea. Lo Stato perde poi anche il controllo sull’economia esistono agenzie di valutazione del debito come Moody’s o Standard & Poor’s che svolgono una funzione di sorveglianti dell’economia globale e degli Stati. Ad accentuarne la crisi la globalizzazione economica che muove i capitali in uno spazio virtuale non più sotto il controllo dei governi ma dei mercati digitalizzati dipendenti dalla tecnologia informatica. Il modello neoliberista che ha liberalizzato capitali e merci ha creato poteri sovranazionali per gestirli: organismi inter-governativi come l’Organizzazione mondiale per il commercio, il Fondo monetario e la Banca Mondiale, i centri finanziari di Wall Street e della City, le società di ‘rating’ finanziario, le grandi imprese multinazionali. Tutte le proposte avanzate per tenere insieme globalizzazione dei mercati e nuove tutele globali del lavoro, dei diritti sociali e dell’ambiente sono state sconfitte. Ma dalla crisi dello stato nazione una sinistra alternativa a questo ordine ha almeno due possibilità di intervento: uno globale di contestazione delle strategie e del funzionamento degli istituti a-democratici internazionali, l’altro locale dove organizzare e costruire altri modelli di produzione, riproduzione e relazione, bisogna agirli e farne rete subito.
La globalizzazione disordinata
La globalizzazione mette in crisi anche le basi dell’ordinamento costituzionale. La delocalizzazione della produzione, la internazionalizzazione delle imprese, la smaterializzazione della ricchezza con la moneta elettronica, sono processi che hanno scavalcato confini e barriere, normative, fiscali, sindacali ecc. La proprietà, la ricchezza, il lavoro, gli scambi commerciali sono fattori di un mercato globale che gli stati sovrani controllano sempre meno. La politica, intesa come regolazione del conflitto sociale, si svolgeva prima del diritto: il conflitto era regolato dall’impiego delle forze dell’ordine e dell’esercito. Il suffragio universale ha aperto le porte del Parlamento alla “moltitudine” dei diseredati, al conflitto sociale e alla contestazione dell’ordine economico. Quale ostacolo ha incontrato il principio democratico, per far si che le politiche redistributive cui ha sempre teso hanno potuto subire così radicali inversioni di rotta? Che cosa impedisce ad imporre la prevalenza degli interessi dei molti sugli interessi dei pochi? La risposta nei principi di liberalizzazione, che consentono alle merci, alle imprese e ai capitali di muoversi senza vincoli e controlli. Solo le persone non possono muoversi liberamente. Con la “globalizzazione” assistiamo ad una ulteriore fase della storia costituzionale. Spostare in avanti a livello globale il conflitto e la conquista di nuovi e più avanzati livelli di diritto internazionale e planetario è il compito da darsi, visto che siamo rimasti spiazzati dalla globalizzazione e tornare indietro non è possibile. Abbiamo la necessità di batterci oltre i confini nei quali avevamo costruito le nostre fortune sfruttatrici di altri contesti, siamo costretti a trovare alleati in altri popoli, altri sfruttati, altri lavoratori altri individui consci che la difesa dei diritti la tutela delle specie e del pianeta sono il compito da darsi per la sopravvivenza di tutti messa a repentaglio dalle regole di assoluta proprietà della finanza e dei mercati. Analizzare a fondo gli sconquassi che la globalizzazione ha prodotto sulla vita reale degli abitanti della terra servirà sicuramente a rivederne le storture, senza però indulgere sul ripristino della situazione antecedente. Ritengo che ormai è giunto il tempo di una nuova declinazione della funzione del nostro territorio, l’Europa, nello scenario globale; il ruolo ed il funzionamento delle sue istituzioni affinchè inverino la sua sovranità che nella più cogente delle affermazioni della Costituzione Italiana deve appartenere al popolo: cioè al popolo europeo.
Europa e suo funzionamento
Nel suo affermarsi l’unione europea non ha avuto uno sviluppo organico e lineare, Il progetto di trattato che istituisce una Costituzione dell’Unione Europea, dedicato alla “vita democratica dell’Unione”, affronta la questione della legittimazione democratica degli assetti istituzionali dell’Ue collocandola tra il principio della democrazia rappresentativa e quello della democrazia partecipativa. Il parlamento europeo che non ha ancora un ruolo paragonabile a quello dei parlamenti nazionali; l’inadeguatezza della formazione di una opinione pubblica europea; la appena abbozzata realizzazione della partecipazione; la debolezza, del sistema politico-partitico europeo; ed altri ancora se ne potrebbero elencare. Le resistenze ad una democrazia più compiuta sono derivate dal timore che alla crescita democratica del processo politico europeo corrispondesse l’erosione del processo politico degli stati. Credo sia necessaria la costruzione di un’Europa forte attore politico nello scenario globale superando i limiti sopra esposti. Un attore che deve inverare al suo interno ed avanzare in ogni consesso la sua “realizzazione” principale, quel welfare state che ci ha consentito una relativa pace sociale oggi sconosciuta a livello globale. Per fare questo l’Europa deve rafforzare la sua coesione e la sua identità politica e culturale partendo dal rafforzamento delle sue istituzioni.
Dove fondare un nuovo ordine mondiale
In un recente articolo Sabino Cassese (di seguito alcuni stralci) riporta nel dibattito politico il tema della Costituzione Globale e del suo principale ispiratore: Giuseppe Antonio Borgese.
“…Il 6 agosto 1945, il giorno di Hiroshima, si stabilirono i primi contatti per il comitato per la costituzione mondiale, presieduto da John Maynard Hutchins, ma orientato da Borgese Il comitato per la redazione di una costituzione mondiale preparò cinque bozze e Venne tradotto in 40 lingue. Cinque furono i problemi su cui il comitato si divise: chi è sovrano? Come si realizza la rappresentanza? Quale peso dare alle tradizioni costituzionali nazionali? Come contemperare diversità con uniformità? Quali diritti garantire? Sulle tradizioni costituzionali a cui ispirarsi, si decise di evitare i modelli anglosassoni e di trarre suggerimenti da varie carte, quella svizzera, quella sovietica, quella spagnola, quella di Weimar, quella cinese. Sul testo si aprì un dibattito molto ampio in cui intervennero tra gli altri Albert Einstein, Léon Blum, Jacques Maritain, Winston Churchill e Altiero Spinelli. Ely Culbertson, presidente del Comitato dei cittadini per la riforma delle Nazioni Unite, osservò che il Comitato era pervenuto a una concezione bizzarra, facendosi influenzare da Blanc, Proudhon, Marx e Lenin. Tra le molte voci favorevoli vi fu quella di Piero Calamandrei, il quale si fece subito propugnatore di un progetto unitario anche per l’Europa…”
Alcune strutture globali sono state istituite ed operano: Fmi, Banca Mondiale, Wto, Oms, Fao, problema è che queste strutture sono patrimonio esclusivo della finanza e delle potenze dominanti, ingenerano paura e miseria tra le popolazioni spingendole al nazionalismo e al sovranismo complice una politica incapace di guardare oltre. La costruzione di un nuovo ordine non può che passare anche attraverso la lunga e paziente costruzione di rapporti e forme organizzative internazionali in grado di potersi contrapporre in qualche misura allo strapotere dell’economia globalizzata. Un compito particolare su questo tema potrebbe svolgerlo il sindacato. Luigi Ferrajoli sostiene che il costituzionalismo ha un futuro solo se allargato oltre lo Stato. Comunque, porsi di nuovo il tema e la necessità di regole politiche globali per il diritto dei popoli alla vita e all’uguaglianza non può essere inteso come una palestra di tesi di cooperazione per l’umanità, quasi che possano esistere principi politicamente omologanti per tutti. Le società sono diverse le classi non sono scomparse, si sono modificate. Le variegate forme dello sfruttamento, le drammatiche problematiche dell’umanità e del pianeta necessitano soprattutto dopo il Covid di risposte antisistema anche dentro ipotesi e formulazioni che tengano conto dello sviluppo globale dei diritti; per un tempo le due questioni vanno coniugate insieme.
Le povertà
L’Europa è considerata un luogo in cui l’accordo tra individui e Stato su libertà, diritti e doveri, ha determinato l’equilibrio tra crescita economica e sviluppo sociale. Questi principi hanno ispirato altri progetti di integrazione regionale come il Mercosur, l’ASEAN, la Comunità Andina e l’Unione Africana. Oggi invece aumenta anche in Europa il numero delle persone povere o socialmente emarginate, e la vita e le condizioni di lavoro di molti cittadini peggiorano costantemente e il divario tra ricchi e poveri si allarga sempre più. L’aumento della disuguaglianza economica rallenta inesorabilmente il cammino faticoso verso l’uguaglianza di genere nell’UE. Ovviamente va ricordato che le condizioni economiche europee e dei paesi sviluppati non sono minimamente commensurabili a quelle dei paesi e dei popoli poveri, di cui le diplomazie occidentali si occupano solo in termini di qualche pelosa assistenza continuando spesso politiche predatorie di risorse naturali. A questi popoli, agli emarginati della terra dedica molta attenzione la chiesa cattolica con il pontificato di papa Francesco. Nel Novembre 2016 al 3° Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari ha ospitato 180 attivisti sociali provenienti da tutto il mondo chiamati a discutere per quattro giorni sui temi del lavoro, della casa e della Terra. Invitati i cartoneros di Buenos Aires, i popoli indigeni australiani, leader dei Sem Terra, presenti intellettuali come Vandana Shiva, Ignacio Ramonet, Pepe Mujica, don Luigi Ciotti. Un discorso,forte quello di Francesco “Dobbiamo rifiutare ogni muro, praticare l’accoglienza, sapendo che vi sono cause strutturali che producono emigrazioni e non ha senso distinguere tra migranti economici e coloro che fuggono dalla guerra. E’ inaccettabile che quando una banca fallisce si trovi subito il denaro per salvarla e che per soccorrere e accogliere i migranti manchino sempre i soldi. Dobbiamo contrastare la speculazione finanziaria e il Dio denaro che per molti è diventato l’unico motivo di vita. Non basta fare assistenza, è il sistema che va cambiato; anzi talvolta si finisce per garantire una sorta di credibilità ad un sistema marcio”. La chiesa nella sua più alta gerarchia denuncia anch’essa la pericolosità dell’attuale sistema e prova a riorientare i cattolici e le loro strutture provando a liberane di nuovo le energie più progressive.
Il sindacato tra interesse locale e funzione globale e generale
Pietro Ichino in una sua recente lettera a Maurizio Landini propone un’unità nazionale corporativa nella competitività globale. Una sorta di faccia nazionalista del neoliberismo che nega l’antagonismo tra lavoratori e imprenditori, suggerendogli un’idea di sindacato pacificato. Questo è il quadro di ragionamento di un’economia e di un’idea delle relazioni sociali e del governo del territorio che vede il conflitto non come fautore di nuove successive e più avanzate condizioni economiche e sociali ma come fumo negli occhi e fautore dei disastri più nefandi, ma non lo riduce per concessioni bensì nel nome di un comune destino, senza neanche provare ad affievolire le esplosive contraddizioni tra capitale lavoro e ambiente.Il tema, ridotto all’essenziale, è come riposizionare il sindacato nella gestione di strumenti di coinvolgimento economico dei lavoratori reiterando una concezione delle relazioni industriali e dello stato nazionale segnati dalla cattura di capitali nella competizione internazionale fondata su scarse tutele del lavoro, sociali ed ambientali. na sostanziale resa alle ragioni dell’impresa (investimenti a carico dello stato e concertazione degli esuberi) uno scambio tra pace sociale e premialità incentivanti per i restanti occupati. Una sorta di vendita dell’anima in cambio di nulla in nome di una non qualificata “responsabilità nazionale”. Una variante sovranista del sindacato schierato a tutela delle imprese e dei lavoratori dipendenti entro i confini nazionali. La guerra inter-capitalista che prova ad imbrigliare su scala locale e corporativa l’azione sindacale. Il sindacato nel fronteggiare questo schema non può rinunciare ad una sua funzione generale che oggi non può che iscriversi nella lotta globale a difesa del lavoro dei diritti e dell’ambiente. Rifiutare cioè una concezione corporativa nella quale lo si vuole costringere. Per fare ciò è opportuno tessere più avanzate relazioni con altri sindacati, rafforzare il ruolo della CES (Confederazione europea dei sindacati) e della FSM (Federazione Mondiale Sindacale), non cedere alle sirene della concertazione e sostenere tutti i conflitti atti a mantenere posti di lavoro, piani di rilancio produttivo ed occupazionale basati sulla tutela dell’ambiente e risanamento del territorio. Se la globalizzazione è di merci capitali e finanza il conflitto tra capitale ambiente e lavoro non può rimanere entro i confini nazionali.
L’italia e la sinistra nello scenario mutato
Lo scenario politico di questi anni è stato segnato da analisi sulla “crisi della democrazia”. A fronte di tendenze che vedono l’affermarsi di nuove forme di “oligarchia”, troppe risposte richiamano il ruolo diretto e attivo dei cittadini, o al contrario, di fronte alla crisi di “governabilità” per incapacità delle istituzioni a dare risposte alla nuova complessità sociale, la soluzione da più parti avanzata è quella di un ulteriore accentramento dei poteri. Ma che forma deve assumere la democrazia per essere tale ed efficace? Con i movimenti di critica alla globalizzazione dei primi anni del nuovo secolo viene messa a tema la “democrazia partecipativa” ; una visione della democrazia dal carattere locale e comunitario, basata sulla partecipazione diretta del cittadino alla formazione delle scelte.
Per contrastare la logica del “pensiero unico”, occorre un protagonismo “dal basso” e la “democrazia partecipativa”, è lo strumento con cui si costituisce una nuova soggettività sociale critica e antagonistica. L’emblema è il bilancio partecipativo, ideato a Porto Alegre alla fine degli anni Novanta. I processi di elaborazione e le pratiche di democrazia partecipativa sperimentate nel corso dell’ultimo decennio ne hanno mutato però in parte la sostanza negli, non escludendo oggi forme di democrazia partecipativa complementari con la democrazia rappresentativa. Le organizzazioni internazionali della globalizzazione delle merci e dei capitali, le modifiche del diritto e dei luoghi in cui esso può essere efficacemente esercitato, rappresentano campi entro i quali si ridefiniscono i poteri, gli assetti istituzionali, le economie. La crisi del soggetto politico e il declino dell’autonomia della politica discende dalla mondializzazione dei rapporti, dall’individualismo di massa, dal predominio della tecnologia e della comunicazione sull’ideologia. Mentre la crisi del soggetto politico è conclamata la crisi economica globale ha accentuato le disuguaglianze e fenomeni di contestazione esplodono in diverse parti del pianeta soprattutto in occidente che vede il suo inesorabile declino. In Italia la sofferenza sociale è quantitativamente molto rilevante, una sofferenza che vede la sinistra senza rappresentanza od organizzazione minimamente credibile nonostante rivendicazioni e lotte dei settori più sfruttati ed emarginati non sono mancate in questi anni. I lavoratori della logistica, i riders, le rivendicazioni delle donne, le manifestazioni per l’ambiente. Ma queste lotte, queste rivendicazioni, le pratiche di autoorganizzazione, per essere efficaci vanno rappresentate in una struttura che le contenga. Bisogna chiamare a raccolta tutt@ coloro che ritengono irrinviabile avviare il processo costituente di una nuova soggettività politica della sinistra italiana. Questa struttura dovrà rispondere a realtà di sfruttati, alle donne, ai precari, ai disoccupati, ai marginalizzati delle periferie urbane, agli immigrati. Queste realtà debbono trovare spazi di autodeterminazione e spazi collettivi dove decidere delle deliberazioni da assumere. Questa pratica partecipativa deve evitare la burocratizzazione propria della fine dei partiti del novecento e ricostruire una sinistra non solo nei contenuti ma anche sulle pratiche. I ceti politici dei partiti del movimento operaio alla fine del novecento hanno via via separato i propri destini da quelli dei loro referenti sociali fino ad arrivare alla subalternità al sistema. Bisogna far vivere una nuova soggettività politica alternativa al neoliberismo nazionale e transnazionale che risponda a chi ha perso sicurezze, lavoro, diritti, futuro, e contribuisca anche a ripensare la sinistra. Una soggettività politica che disegni una società oltre il capitalismo, che non balbetti sugli scenari di guerra e proponga soluzioni non asservite all’approvvigionamento energetico di rapina, dove pubblico privato tempi di lavoro e di vita coniughino non la competizione per il profitto ma l’uguaglianza. Un nuovo soggetto politico che contribuisca ad organizzare piattaforme politiche e giuridiche che abbiano il fine della rigenerazione del pianeta ricostruendo relazioni organizzative continentali ed internazionali con le realtà che lavorano al cambio di sistema. Ricomporre le fratture sociali, economiche, di genere e generazionali, ridurre debiti e disuguaglianze per un ambiente ed una vita dignitosa in termini di reddito, tempo di lavoro e salute. In questi anni di sostanziale eclissi della sinistra soggetti insufficienti ed in competizione tra loro si sono uniti in prossimità di scadenze elettorali senza un progetto politico comune se non la composizione di liste; bisogna costruire l’agenda oltre le scadenze elettorali ma non prescindendo da queste, provando ad anticipare i processi. Oltre l’invisibilità indotta dal Covid lavoratori e operai hanno scioperato per la salute e la sicurezza sul lavoro, le donne affermano ogni giorno che sono l’energia ed il pensiero vitali per l’umanità, milioni di persone si mobilitano per l’ambiente. Si stanno tracciando le nuove piste generatrici di un altro racconto. Costituire il soggetto autonomo e democratico anche in Italia su queste basi è il compito da darsi organizzando la raccolta delle risorse economiche in grado di farlo vivere, agire il mutualismo sulle nuove difficoltà leva di nuova militanza e credibilità. Un soggetto politico che si organizza avvalendosi delle competenze, di leadership, di intellettuali, che operi la formazione, il tutto sotto la attenta pratica e l’attento controllo della democrazia partecipativa. L’efficacia della comunicazione non può essere sottovalutata. L’organizzazione deve necessariamente dotarsi di strumenti comunicativi autonomi, che con le nuove tecnologie potranno essere anche strumento di consultazione parziale senza per questo sostituirsi alle decisioni in presenza ed attraverso piattaforme digitali interattive adeguate. Democrazia solidarietà uguaglianza sono le direttrici dello stare insieme, l’avversione a questo sistema economico-relazionale deve essere la caratteristica antropologica di questo soggetto politico e delle sue leadership che dovranno avere ben chiara la necessità di un altro ordine mondiale.